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Essere "genitori pretermine"

  • Immagine del redattore: Amati Prima
    Amati Prima
  • 11 giu 2018
  • Tempo di lettura: 2 min

Quando improvvisamente ci si trova catapultati dentro una TIN, cioè un reparto di terapia intensiva neonatale, ci si sente gli unici al mondo, soli, fuori posto, diversi dagli altri genitori e alle volte perfino gli amici e parenti diventano parte di un mondo esterno che non è in grado di comprendere pienamente l’emotività di una situazione così difficile.

Il tempo ha una dimensione diversa, ogni ora, ogni giorno è carico di mille sentimenti, speranze, emozioni, noi genitori e tutti i bambini ricoverati, sembriamo appartenere ad un’altra dimensione dove la realtà, che fino a qualche tempo prima avevamo vissuto, sembra essere lontanissima.

E allora i genitori dei “compagni di culla” del nostro piccolo diventano gli amici più intimi, ci si capisce con uno sguardo, si piange e si ride insieme, si gioisce e si condividono le difficoltà insieme. Si provano le stesse sensazioni nonostante le varie ed evidenti differenze che contraddistinguono ogni coppia.

Si è concentrati 24 ore su 24 sul proprio piccolo bambino, anche quando magari a casa ci sono altri figli, si vivono continui e costanti sensi di colpa per quello che si sarebbe potuto fare, per quello che si è fatto, per quello che non si è fatto.

I neonatologi e le infermiere sono i nostri unici punti di riferimento, ogni loro parola, informazione, consiglio, diventa l’unica concreta certezza, speranza, azione. Quando finalmente si è a casa tutti insieme, la gioia è grandissima, ma per assurdo, si sente nostalgia del reparto, del personale sanitario che ci ha seguito, della sicurezza delle cure. I primi giorni a casa sono incredibilmente intensi, intimi, emotivamente forti.

 

Ogni respiro, vagito, ruttino, cacca, sbadiglio, sono grandi eventi che richiedono una completa attenzione. L’adattamento a casa si complica quando il bambino è supportato dal saturimetro che lo aiuta nella respirazione.

 

Il suono di allarme a cui si è abituati dopo mesi di “soggiorno” in TIN, a casa, sotto la nostra responsabilità, assume un altro e più pesante segnale di pericolo. Il suono del saturimetro resta per tutta la vita scolpito nella memoria di ogni genitore. Poi il bambino cresce, inizia a guardarsi intorno, a relazionarsi, a camminare, a esprimere le prime paroline e finalmente si guarda il futuro con profonda gioia e gratitudine.

Ma può capitare che ancora ci si chiede: ma è tutto regolare? Avrà bisogno di un supporto, dovrà seguire delle terapie? Può andare al nido? E’ troppo esposto alle varie malattie della prima infanzia? E’ diverso dagli altri bambini? Tutte domande assolutamente lecite, consone ed adeguate al percorso genitoriale atipico che i “genitori pretermine” hanno vissuto.

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